TREAT PEOPLE WITH KINDNESS — Intervista a Lorenzo Bises

Denise Tshimanga
9 min readApr 20, 2021

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Lorenzo Bises

Il mio primo anno a Milano giravo inarrestabile senza sapere dove mi trovassi il 90% del tempo. Andavo quasi tutti i venerdì sera all’Ostello Bello di via Medici, la domenica passeggiavo da sola per le vie della città con il naso all’insù alla ricerca di bar, locali, scritte sui muri e luoghi nascosti. Mi divertivo da morire ma andavo sempre negli stessi posti, e facevo sempre le stesse cose. Se in quel periodo, avessi seguito Lorenzo Bises su Instagram, avrei trovato un’infinità di posti meravigliosi da scoprire.

Lorenzo è un content creator originario di Roma ma con un forte accento milanese, che porta la sua community in giro per Milano attraverso le storie di Instagram. Questa rubrica la chiama Girètti (pronunciato come direbbero qui a Milano, ovviamente) ed è uno dei prodotti più gettonati sul suo profilo. Oltre ai Girètti, Lorenzo parla di moda (specialmente nel suo nuovo podcast La non[no] moda) e di arte, mostrando sempre interesse, passione e curiosità per tutto ciò che condivide.

Quello che mi ha colpito è proprio il modo naturale in cui affronta gli argomenti che gli stanno a cuore: ha lo sguardo felice di chi parla di qualcosa che ama. Non tutti hanno delle passioni così grandi, e spero che chiunque ce l’abbia, si ricordi di coltivarla, perché potrebbe sbocciare in qualcosa di meraviglioso.

Ho parlato con Lorenzo del suo lavoro, dei suoi posti preferiti a Milano e dell’effetto che hanno i social media sulle persone.

Ciao Lorenzo! Ti seguo da un po’ sui social, ma per chiunque non ti dovesse conoscere: da dove vieni e di cosa ti occupi?

Sono nato a Roma, mio papà è romano e mia mamma è milanese. Ci siamo trasferiti vicino a Milano quando io avevo otto anni. Sono laureato in Storia dell’Arte, ho fatto la triennale qui a Milano, e la magistrale a Parma. Con l’Erasmus sono andato a vivere in Spagna, e poi sono tornato di nuovo a Milano, dove ho iniziato a lavorare. Ho fatto uno stage in una galleria d’arte — e nel frattempo facevo l’istruttore di nuoto — ho lavorato in un’agenzia di eventi, poi come social media manager per un’azienda di gioielli, e in un’agenzia PR, infine sono diventato freelance.

Hai fatto un po’ di tutto! Tra l’altro anche mia mamma è di Roma. Anche io in teoria. In pratica ci ho vissuto due anni. Sono romana per finta.

Beh, io sono romano solo di origini perché come senti l’accento romano in me non esiste. Però mio papà è cresciuto lì e tutta la sua famiglia è originaria di Roma. Siamo un po’ spaccati a metà, tra Roma e Milano.

Come quasi tutti a Milano.

Esatto, sono due poli di attrazione che hanno sempre delle connessioni.

Ti ricordi il momento preciso in cui è cambiato qualcosa? Quando hanno iniziato a seguirti tante persone — con il blog o su Instagram — e ti sei reso conto che un hobby si stava trasformando in qualcos’altro?

Devo dire che nel mio piccolo c’è sempre stata una crescita molto graduale. Non ho mai avuto dei momenti da “ommiodio cosa sta succedendo?”. Da quando sono freelance, ho potuto investire più tempo in quello che facevo, e poi le cose si sono evolute da sole. Non mi sono svegliato una mattina dicendo “adesso divento un content creator”. Ho avuto una graduale vicinanza verso questo mondo, fin dai tempi del blog, e negli ultimi sei mesi sono cresciuto ulteriormente anche perché, come dicevo prima, ho più tempo a disposizione per ideare e produrre contenuti. Ma comunque rimango uno di quelli che cresce gradualmente, come tanti altri micro-content creator. Però sicuramente negli ultimi due mesi c’è stata una spinta in più.

Tu avevi un blog: ti manca scrivere o preferisci comunicare attraverso le altre piattaforme?

Mi è mancato scrivere, ma in realtà non ho mai smesso di farlo, continuo a scrivere per me. Il blog non ha avuto lo stesso trattamento o la stessa dedizione di Instagram, perché al tempo dovevo focalizzarmi principalmente sul mio lavoro principale. Quindi il blog lo tenevo senza nessuna presunzione e senza alcuno sforzo, non avevo l’imposizione di doverlo continuare. Ce l’avevo perché mi piaceva. Devo dire che, da quando ho ripreso a scrivere per il podcast, mi è tornata un sacco la voglia di scrivere. Non me ne ero reso conto, fino a quando ci ho messo la mano.

Com’è nata l’idea del podcast?

L’idea è nata totalmente per gioco. Ho conosciuto questa ragazza che ha un bellissimo podcast sulle fiabe per bambini, che mi è stato consigliato da una carissima amica, mia e del mio compagno Luca. L’abbiamo ascoltato in macchina mentre andavamo dai miei genitori in Liguria, e dopo averlo ascoltato l’ho suggerito nelle storie di Instagram. L’ho condiviso, l’ho taggata, dopodiché io e lei abbiamo iniziato a seguirci. Una volta ci siamo incontrati perché lei mi ha detto “secondo me devi fare un podcast anche tu”. Così ci siamo visti: dovevo scrivere la prima puntata e alla fine sono diventate più puntate e la scorsa settimana lo abbiamo lanciato. Le ho mandato il testo della prima puntata per capire se potesse andare bene in forma audio, e lei mi ha detto che funzionava, quindi poi siamo passati alla registrazione.

I podcast sono particolari. Io ero un po’ restia all’inizio. Pensavo che fossero troppo lunghi, noiosi, e che uno aveva bisogno di sedersi e trovare del tempo per ascoltarli. Poi mi sono ricreduta; ho iniziato ad ascoltarli l’anno scorso e se ne trovano di molto interessanti, sia corti che lunghi.

Esatto, infatti la mia specifica era: siccome parlo solo io, non voglio fare un podcast di un’ora. Perché esaurirei tutti gli argomenti, e perché non lo ascolterei un podcast così lungo. Quindi abbiamo deciso di farne uno breve. Puoi ascoltarlo in un quarto d’ora in un momento di pausa, oppure mentre stai facendo tutt’altro, può tenerti compagnia.

La figura dell’influencer attira sempre un mix tra fascino e confusione: la gente spesso si domanda “ma cosa fanno esattamente gli influencer?” e dietro a questo mindset ci sono un po’ di negatività e pregiudizi. Com’è una tua tipica giornata di lavoro?

Dipende. Mi alzo presto, porto fuori il mio cane Martin, e poi inizio con la lettura delle mail, programmo i tour che voglio fare andando a studiarmi l’itinerario, quindi fondamentalmente approfondisco e studio, su internet e sui libri. Per esempio: se faccio l’itinerario sulla Martesana, e vado in bicicletta fino a Trezzo sull’Adda come ho fatto questa estate, siccome non l’avevo mai fatto per intero, c’erano delle cose lungo il tragitto che ho dovuto ricercare. Mi studio quello che vorrò dire mentre faccio il tour. Se ho già studiato l’itinerario, i video li posto dopo. Perché tante cose le scopro sul posto, quindi devo sempre aggiungere delle informazioni al contenuto che ho girato o scattato. Poi rispondo alle persone che mi seguono, guardo le eventuali collaborazioni che devo fare, e mi occupo anche di tutta la parte burocratica che ovviamente non si vede sui social.

Uno dei tuoi cavalli di battaglia, sono i Girètti che fai in bici per tutta Milano, in cui mostri edifici e vie e spieghi la loro storia. Quando hai iniziato a farli e quali sono i tuoi tre posti del cuore a Milano?

I giretti li ho sempre fatti, prima ancora dei social. Sono sempre stato quello che faceva le deviazioni per andare a vedere un determinato posto, quindi i giretti mi vengono naturali, e non solo a Milano, ovunque! Anche nelle altre città in cui ho vissuto, e che vado a visitare. La voglia di fare e di conoscere, ce l’ho sempre avuta. Sui social i giretti ho iniziato a farli con Snapchat nel 2014/2015. Quindi non è mai stato un qualcosa di forzato.

Tra i posti del cuore sicuramente c’è la Rotonda della Besana, perché mia nonna viveva lì dietro e mi portava quando ero piccolo. Oddio, mi trovi impreparato, non mi vengono in mente!

È troppo tempo che sono chiusi i posti del cuore.

Esatto. Come museo, ti dico il Museo Poldi Pezzoli, perché è bellissimo anche se è immobile nel tempo. È una chicca; rappresenta benissimo tutta la storia e la vivacità di Milano. E poi il giretto sul Naviglio, principalmente quello della Martesana.

Comunque si vede che sei realmente appassionato dei contenuti che posti: mostri quello che ti piace, ti informi, e hai un approccio molto genuino e delicato che apprezzo molto. La community la maggior parte delle volte è un riflesso di chi sta dietro all’account, infatti ho notato che anche le persone che ti seguono hanno un modo di fare educato e gentile. Ti è mai capitato di ricevere commenti sgradevoli? Che effetto hanno avuto su dite?

Ti ringrazio! Io sono molto fortunato, perché negli anni ho avuto modo di creare una community incredibile. Sono educatissimi, sempre gentili; so che quando chiedo qualcosa, loro sono sempre pronti a darmi i consigli migliori. Se chiedo dove potrei mangiare in una città che non conosco, mi inondano di messaggi. È un po’ come se volessero ricambiare il favore, è la volontà di ripagarmi con la stessa moneta. Mi capita raramente di ricevere delle critiche negative. Ovviamente ci sono state, spesso gratuite. Ci rimani male, ti domandi “non mi sono spiegato bene?”. Però dopo esserci rimasto un po’ male, il commento mi scivola. Sono convinto che l’anonimato dei social ti possa invogliare ad essere maleducato con una persona che non ti piace. E a volte si seguono delle persone che non ti piacciono per coltivare questo dispiacere nei loro confronti. Io posso non piacere, e va benissimo, ma preferisco non essere seguito, invece di avere qualcuno che aspetta un mio piccolo momento di crollo in cui magari risponderò più a tono perché sto avendo una giornata no. Ma mi sarà successo forse tre volte. Sono molto fortunato, e forse come dici tu la community è un riflesso, quindi chi mi segue non scrive commenti negativi. Ho una community che forse non merito neanche.

Tra le varie passioni, hai quella per le lettere e la ceralacca. Io non ho ancora mai usato la ceralacca, ma amo scrivere lettere. Quando mi sono trasferita a 10 anni e ho lasciato Treviso, ho iniziato a scambiarmi lettere con una mia amica, e questa cosa mi fa sempre ridere.

Ma è bellissimo!

Però ero anche cattiva, perché lei faceva sempre errori grammaticali e io nella mia testa stavo lì a correggerli. Ma ce le ho ancora le lettere, le ho tenute. Quando hai iniziato ad appassionarti alle lettere e alla ceralacca?

È un’altra fissa che ho sempre avuto. Anche io come te, trasferendomi da Roma a Milano, ho iniziato a scambiarmi lettere con una delle mie migliori amiche, e lo abbiamo fatto fino all’università. Nonostante la distanza non ci siamo allontanati, anzi. Stessa cosa facevo con una mia cugina che abitava a Venezia, con mia nonna, scrivevo ai fidanzati, alle compagne di banco, a tutti. Le carte da lettere me le facevo io al PC. Avevo comprato i fogli colorati, mi facevo da solo le cornici, l’intestazione e poi le stampavo per la gioia di mio papà che comprava inchiostro in continuazione. Poi siccome gli altri scrivevano su dei fogli strappati dal bloc notes, io con la mia lettera mandavo anche i fogli su cui avrebbero potuto rispondermi. Era una malattia praticamente. Ancora oggi scrivo bigliettini e lettere.

In un’altra vita eri un postino.

Sìsì, un porta lettere.

Stare sui social a volte può essere difficile. Ti fanno perdere le energie, ti distraggono, ti fanno pensare a delle cose a cui non dovresti pensare. Secondo te come si può migliorare il proprio uso dei social network? Tu senti il bisogno di doveri staccare ogni tanto?

Io sento tanto la necessità — credo come tutti — di staccare proprio dal telefono. Però è una cosa che faccio. Comunque il fatto di non postare immediatamente i miei contenuti, mi aiuta molto. Perché così facendo, mi godo il momento con tutta calma. A volte il distacco c’è, ma non per la community. Mi piace rispondere per bene alle persone, dare una risposta adatta. Per il resto, il tempo bisogna sfruttarlo nel migliore dei modi.

Ti pesa il fatto di usare Instagram in modo diverso perché è anche un lavoro, quindi il non poter pubblicare le stesse cose che pubblicheresti se ti seguissero soltanto i tuoi amici, oppure no?

No, ho sempre avuto una mia direzione e l’ho mantenuta. Se mi seguissero soltanto i miei amici, posterei le stesse cose perché pubblico ciò che mi piace, ed è quello che può connettermi ad altre persone. So che una persona avrebbe piacere a trovare quel tipo di contenuto sul mio profilo, come a me piace farlo. Poi so che quell’informazione alla fine è inutile, in un certo senso. Però mi fa piacere condividerla perché forse è il motivo per cui una persona mi segue.

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Denise Tshimanga
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